lunedì 13 settembre 2010

Biografia - John Keats

John Keats
Poeta inglese (1795– 1821).
Mentre gli aspetti più esteriori del gusto romantico erano divulgati dappertutto dai poemi del Byron e dai romanzi dello Scott, gli aspetti più intimi della sensibilità romantica trovavano espressione, dopo il Coleridge, nell’esotismo classicheggiante di John Keats. Nato a Londra di umili origini, soltanto tra i quindici e sedici anni il Keats sviluppò l’amore per i libri e la poesia. Mortagli tisica la madre (suo padre, stalliere che aveva sposato la figlia del padrone della rimessa, era morto nel 1804), fu messo dal tutore come apprendista presso un chirurgo, ma intanto le letture, specialmente della Faerie Queene dello Spenser, gli rilevarono la sua vera vocazione. Aiutato da Leigh Hunt (in politica radicale, in poesia eclettico diluitore di motivi derivati dagli antichi inglesi – Chaucer, Spenser – e italiani – Dante, Pulci, Boiardo, Ariosto), il Keats si vide confuso dai critici con la scuola poetica a cui apparteneva il suo protettore (la cosiddetta « Cockney School ») allorché pubblicò nel 1818 Endymion, a poetic romance.
Le spietate stroncature dei critici del Blackwood’s Magazine e della Quarterly Review, deprimendo il morale, poterono contribuire con altre circostanze – specialmente l’assistenza prestata al fratello Tom che mori d’etisia, gli strapazzi d’un giro in Scozia, e un amore appassionato e tormentato per Fanny Brawne – a scuotere una fibra delicata e predisposta alla tisi come quella del Keats. La malattia si dichiarò improvvisamente nel febbraio del 1820; prostrato da irritabilità nervosa e debolezza generale, il Keats s’imbarcò per l’Italia con l’amico Joseph Severn, pittore, e si stabilì a Roma, in Piazza di Spagna, dove mori il 23 febbraio 1821. Fu sepolto nel Cimitero Protestante di Roma, e la sua lapide reca l’iscrizione che egli stesso s’era scelta: « Here lies one whose name was writ in water ». Lo Shelley ne pianse la morte in Adonais, rievocando per lui l’eterno simbolo del martire iddio giovinetto, pianto dalle donne di Levante.
L’entusiasmo per l’arte dell’antica Grecia (alimentato dalla lettura del dizionario classico del Lemprière e dai marmi del British Museum – gli « Elgin marbles » – il Keats non sapeva leggere il greco) orientò la sensibilità romantica del poeta nel senso d’un esotismo classicheggiante, che contiene talora in embrione, talora in pieno sviluppo, tutti gli elementi del tardo romanticismo e del decadentismo della fine dell’Ottocento.
Il cosiddetto classicismo del Keats risente del gusto dell’epoca della Reggenza, e cioè risultante da una contaminazione di elementi disparati (anche gotici e orientaleggianti), e presenta quindi caratteristiche d’ibridismo, diversamente dal classicismo settecentesco che era divenuto una seconda natura nel linguaggio poetico: qui il rischio era l’accademia, in Keats, cresciuto in un’epoca di declinante tradizione e non assistito d’altronde nei primi anni da un ambiente familiare comunque colto, il rischio era una vistosa superficialità decorativa come quella degli almanacchi così diffusi in quel primo Ottocento, e in tale difetto Endymion incorre a ogni piè sospinto, con la sua spesso smaccata e stucchevole mellifluità che illustra un aspetto tutt’altro che secondario del Keats, la sua struggente tenerezza quasi femminea, attestata anche nell’Ode to Psyche, il cui morbido alessandrinismo fa pensare a certe manierate e squisite incisioni neoclassiche (soprattutto francesi) dell’epoca, e al clima poetico di languida sensualità contemplativa espresso dalle Veneri, dalle Psichi e dagli Amori di Canova.
Per altro una miracolosa metamorfosi avvenne nel Keats nella stagione tra il settembre 1818 e il settembre 1819, allorché la malattia e la passione d’amore che lo consumavano poterono contribuire a potenziare il suo genio e a forzarne la fioritura. Keats era una lastra impressionabile, un camaleonte, com’egli ebbe a dire, assimilava istantaneamente e (ancor più sorprendente) con una prontezza da sbalordire restituiva gli elementi assimilati in una visione nuova in cui essi erano a stento riconoscibili. Così, in contrasto al Keats maggiore, poeta mesto e solenne che attraverso il presentimento sente il fascino della Bellezza immortale, sorprendiamo in The Cap and Bells (Il berretto a sonagli) la presenza d’una multiforme Musa affine a quella di Shakespeare: accanto alle note comiche troviamo squisite descrizioni d’una lirica sensuosità.
Padre dell’estetismo il Keats non è un esteta: il succo della sua poesia è a base etica: Stimmung di questo poeta: egli esalta contro il razionalismo l’intuizione della vita accettata integralmente, e, come tale, configurantesi in Bellezza. In questo modo va interpretata la famosa chiusa dell’Ode on a Grecian Urn: Beauty is Truth, Truth Beauty — that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.
Il poeta che in Endymion anelava a « una vita di sensazioni piuttosto che di pensieri », e amava abbandonatamente la Bellezza, come un’amante, approfondisce la sua ispirazione nella magnifica fioritura di versi del 1819, soprattutto nelle odi (Ode to a Nightingale, Ode on a Grecian Urn, To Autumn, Ode on Melancholy, Ode to Psyche) e nel poema in blank verse miltonico Hyperion (non finito), ove il progresso del cosmo è presentato come un passaggio del regno dei cieli e nuovi iddii sempre « più belli ». Il poema s’interrompe appunto nel momento in cui Apollo consegue la divinità e il dono del canto attraverso a una sorta di doloroso transito, a una morte oltre la quale è la vera vita: « conoscenza smisurata » e simpatia per l’umano dolore fanno di Apollo un uomo – dio, un dio più perfetto. Ma a questo punto il poema non può più conservare il tono epico, lo stile « artistico » di foggia miltonica, e s’interrompe.
L’« io lirico » troverà piena espressione nelle Odi. In esse più intensamente, attraverso il presentimento della morte, il poeta sente la Bellezza, che immortale, impassibile, assiste al travaglioso vanire delle vicende umane intorno: generazioni e generazioni d’uomini s’inebriano per un ‘istante del canto eterno dell’usignolo, dell’armonioso lineamento dell’Urna eterna, e salutano morituri la perenne Imperatrice. In questa sua accettazione e dedizione a una Bellezza che placa l’ansia dell’anima dinanzi al mistero del mondo, si esalta il motivo dominante della vita del Keats. Le sensazioni che il poeta chiede all’amore – come ci attesta l’epistolario con Fanny Brawne – sono sensazioni di narcosi; desidera che la lettera della fidanzata sia come una pozione d’oppio. Il motivo dell’Ode to a Nightingale è pur questo. Domina le lettere a Fanny una vertigine di abbandono quale alita nel mito d’Endimione predato dalla Luna: il Keats si sente « assorbito » dall’amata.
Una coppia di versi del Petrarca (che è un peccato il Keats, non conoscesse) sembra in forma emblematica significare la Stimmung di questo poeta:
Deh! or foss’io col vago de la Luna,
Addormentato in qualche verdi boschi.
Questa Stimmung domina anche altre poesie del volumetto del 1820. Tali poemetti Lamia, Isabella (ispirata dal Decameron, IV, 5), The Eve of St. Agnes, la ballata La Belle Dame sans Merci, che presentano un’ispirazione più sensuale e decorativa, tipica del medievalismo romantico. Da questo Keats prenderanno le mosse i Preraffaelliti. Soprattutto La Belle Dame sans Merci, con la vaga evocazione dei languidi fiori simbolici, coi lenti muti gesti e le lacrime ineffabili, col nome strano e spietato della dama sconosciuta, con la presentazione delle immagini carnali – il pallore, la madida fronte, le riarse labbra – con l’insistente ricorrere di certe note, fino alla chiusa che, ripresentando la desolata landa acquatica, propaga un brivido d’estaticità per tutta la visione: questa poesia che esprime un malioso e doloroso mistero, par contenere in embrione tutto il mondo dei Preraffaelliti e dei simbolisti, dalla Laus Veneris di un Swinburne a certi quadri di un Moreau. E proprio i principi che il Moreau metteva a base della sua arte, il principio della « bella Inerzia » e quello della « Ricchezza necessaria », già si trovano nei versi del Keats, con la loro andatura lenta e sognante, con la loro frase onusta d’immagini e di suggestive risonanze (il Keats consigliava allo Shelley di « load every rift with ore » nella suapoesia; che il Keats giungesse per questa via a un decorativismo addirittura decadente, è mostrato da The Eve of St. Agnes).
Riconnettendosi alla grande tradizione del verso inglese (Spenser, Shakespeare, Chapman, Milton) il Keats segna il momento di massima perfezione raggiunto dal romanticismo.
D’altronde il suo rappresentarsi la vita come un’armonia di contrasti, in cui tutte le passioni umane e tutte le creature, dalle sublimi alle infime, trovano giustificazione, avviava l’arte del Keats al dramma: il verso miltonico finì per apparirgli artificiale, il linguaggio di Milton una curiosità, col suo forzare un idioma del Nord a inversioni e intonazioni greche e latine: e più urgente divenne il modello di Shakespeare con la sua concezione integrale del mondo sublimata in intuizione poetica, e il suo uso (soprattutto in King Lear) di parole dell’inglese ordinario pei più sublimi e terribili effetti di visione fantastica: per questa via il Keats s’era avviato con Isabella, or the Pot of Basil. Forse, come concludono il Grierson e lo Smith (A Critical History of English Poetry), « le Odi son l’ultimo e più perfetto prodotto di quella che avrebbe potuto essere chiamata la prima maniera di Keats, se la vita e il suo genio avessero permesso una transizione quale fu quella di Shakespeare dalle immagini decorative, naturali e mitologiche, di – ad esempio – il Sogno d’una notte d’estate o Il mercante di Venezia, alle immagini più drammatiche e realistiche di Amleto e di Macbeth ».

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